domenica 13 marzo 2011

Commento "a caldo" sull'unità d'Italia

Visto che sta per ricorrere l'anniversario dell'Unità d'Italia mi permetto di segnalare il commento "a caldo" (siamo nel 1873) di Dostoevskij, contenuto nell'incipit di "Diario di uno scrittore":

"Per duemila anni l'Italia ha portato in sé un'idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un'idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l'idea dell'unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un'idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l'arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l'Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno dì second'ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, ... un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un'unità meccanica e non spirituale (cioè non l'unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second'ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!".

Ma in fondo che ne capisce uno russo dell'Italia? E questo poi non regalava mica lettoni.

Tra l'altro, sempre a proposito di Dostoevskij, sto leggendo ora i fratelli Karamazov e anche qui ci trovo delle descrizioni di personaggi molto interessanti. Per esempio il padre dei Karamazov:

"Per ora, invece, di questo proprietario (come da noi lo si chiamava, benché per tutta la vita non avesse quasi mai vissuto nella sua proprietà) dirò che era un tipo strano, come se ne incontrano alquanto spesso: non solo il tipo d'uomo abietto e dissoluto, ma anche dissennato; di quei dissennati, però, che sanno sbrigar­sela brillantemente nei loro affarucci, ma a quanto sembra soltanto in questi. Fedor Pàvlovic, per esempio, aveva cominciato quasi dal nulla; era un piccolissimo possidente che correva a pranzare alle tavole altrui, si arrangiava da parassita, seppure, al momento della fine, risultò che aveva ben centomila rubli in denaro contante. Per tutta la sua vita era stato uno degli individui più balzani dell'intero distretto. E ribadisco: qui non si tratta di stupidità – la gran parte di questi balordi è piuttosto intelligente e scaltra – ma proprio di dissennatezza si tratta, e per di più di una dissennatez­za particolare, nazionale."

E due pagine più avanti (dopo essere stato abbandonato dalla moglie):
"Senza perdere tempo, Fedor Pàvlovic mise su dentro casa, un vero e proprio harem, con le più sfrenate gozzoviglie, fra l'una e l'altra delle quali, se ne andava in giro per tutto il governatorato per lamenarsi ai quattro venti d'Adelaida Ivanovna che lo aveva abbandonato."

Fedor Pàvlovic non avrà pubblicato sul suo giornale delle foto della ex moglie con il seno scoperto, però questa descrizione mi ricorda un personaggio politico, ma non riesco a capire quale...

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