giovedì 2 aprile 2009

Una lettura interessante

di come l'italiano vive la crisi.

La strategia di marketing antidepressione del premier: sei solo. Solo contro tutti. all’insegna del divide et impera.

Berlusconi sa perfettamente che la crisi c’è ed è profonda; proprio per questo la esclude dalla comunicazione mediatica.Lo scopo non è tanto quello di convincere chi la sta subendo che non esiste; sarebbe di fatto impossibile perché mprenditori e lavoratori sanno bene che la crisi c’è ed è reale. E’ possibile notare che, a differenza di altri paesi, in Italia non sono nati grandi movimenti di protesta e non si sono avute manifestazioni di disagio generali. Il motivo per cui questo avviene non è solo insito in come è strutturata la società, ovvero nel nostro costante fare riferimento al nucleo sociale minimo che la compone (la famiglia) e considerando il resto degli individui soltanto in senso parassitario, strutturazione mentale che comunque ha il suo peso nell’accettare la strategia comunicativa che andrò a illustrare.

CRISI PRIVATA - L’idea non è quella di nascondere la crisi, ma di farla diventare un affare privato, ovvero di farla vivere soltanto in senso individuale. Accendi la televisione e il tuo dramma non c’è, la società se ne disinteressa, il Presidente del Consiglio ti dice che ti devi dare da fare e che la crisi non è poi grave come viene detto. C’è festa su ogni canale, i giornalisti parlano di cronaca, mentre la crisi diventa un’entità quasi astratta, sempre presente nei discorsi, ma poco “incisiva” perché distante. Al massimo viene vestita da nomi esotici che, per la maggior parte dei cittadini italiani, non significano nulla: Lehman Brothers, Fannie Mae e così via; mentre contemporaneamente viene associata alla figura di Obama o di qualche altro statista straniero (dove la crisi c’è… da noi è minore).

SOLO FRA SESSANTA MILIONI - Il cittadino che ha perso il lavoro guarda il carnevale televisivo e si sente doppiamente a disagio: non può far parte del grande ballo in maschera e non trova niente che riesca a cogliere il suo stato attuale. Il dramma diventa isolamento. Perdi il lavoro? Datti da fare. Sei tu il colpevole, anche se non riesci a trovare altro. Leggi Panorama dove sono pubblicati annunci di lavoro da tutta Italia. Vedi, sei tu che non vuoi darti da fare, il lavoro c’è e la crisi non conta, non ti riguarda. È solo la tua volontà che ti ha fatto perdere il lavoro, gli altri il lavoro te lo offrono, gli altri lavorano. In questo modo si finisce per vivere in uno stato sospeso in cui gli “altri” non sono più visti come una possibilità, ma come una fonte di reprimenda. La “società“, intesa come la generalità delle persone, non solo non può/vuole capirti, ma è un nemico sotterraneo che ti guarda con sufficienza e disprezzo al primo segnale di cedimento, perché cedere diventa immagine e, piaccia o meno, ha una sua influenza. La crisi è cosa tua e non devi darla a vedere, altrimenti sei fuori gioco. Al massimo puoi viverla con i tuoi familiari, gli unici che possono condividere il tuo malessere e, se vuoi, puoi suicidarti, ma senza tanto clamore: sei uno su sessanta milioni, è difficile anche farti rientrare in qualche statistica.

THE STORY - In questo quadro s’incastrano alla perfezione altri meccanismi di rimozione messi in atto dai media, solleticati dal potere politico, che vanno collegati al rapporto crisi/individuo. Cambiamo apparentemente discorso: chiunque abbia un minimo di cultura e di conoscenza della storia dovrebbe essere cosciente del fatto che una crisi sistemica, in quanto tale, influenza tutto ciò con cui il sistema stesso ha avuto una relazione. È utile continuare a ricordare Tremonti e il suo amore viscerale per la finanza creativa, manifestato più volte nella precedente legislatura, ma è altrettanto utile ricordare come proprio chi è al governo ora abbia permesso la penetrazione di quel sistema all’interno del sottosistema Italia e di come certe situazioni degradate non siano frutto del caso, ma di scelte precise fatte negli scorsi anni, come ad esempio l’apertura cieca al liberismo economico e l’attacco incrociato a qualsiasi tentativo di tutela di un’economia più controllata.

UNA CRISI VECCHIA - È utile capire quanto sia coinvolto chi ci amministra attualmente (specifico che parlo di classe politica e non solo del centro destra) perché così è possibile comprendere quanto sia assurda, ma nello stesso tempo efficace, la volontà di far credere che la crisi è solo un “virus americano” e non riguarda assolutamente il nostro sistema che la sta subendo, quasi fosse una violenza improvvisa e inattesa perpetrata da uno sconosciuto alla porta. La verità è che l’Italia fa parte del sistema che è entrato in crisi e, quindi, ha le sue colpe, fosse pure la sola indifferenza verso i possibili effetti di un sistema simile. Eppure sono in molti a voler credere che l’Italia sia l’agnello in mezzo a un branco di lupi. La questione è che collegando “la crisi sei tu e non riguarda la società” con “la crisi viene da lontano e non è colpa nostra”, si crea una bolla in cui l’individuo perde consistenza e non trova appigli per rivalersi e per associarsi” con altri nella sua stessa condizione. La persona, che in quanto assume un ruolo ogni volta che agisce, non riesce a collegare il suo malessere con il mal governo, dimentica che l’Italia è in crisi da anni, non certo da Ottobre 2008, con una decrescita costante dovuta proprio da quelli che stanno cercando di smarcarsi da ogni responsabilità e, ormai isolato, non riesce a concepire alcuna forma di protesta collettiva, fosse pure una caccia al manager. I nemici sono lontani, troppo lontani per raggiungerli.

PROTESTARE=MALE - Gli unici a protestare sono i centri sociali e gli studenti. Ma quelli, si sa, sono ormai percepiti collettivamente come “teppisti“; dei piccoli criminali che, passata la sfuriata, finiscono per tornare a casa a succhiare la tetta alla mamma. Oltretutto nessuno di loro lavora, quindi di cosa si lamentano? Le loro proteste non vengono raccontate se non per stigmatizzarle o per sfruttare gli episodi di violenza isolati come pesticida per i contenuti della protesta stessa. Quando vengono intervistati si sceglie sempre di far apparire in video i più confusi, persone magari intimidite dalla telecamera che riescono soltanto a balbettare, apparendo come inconsistenti a chi li guarda. Protestare = male nella testa dei telecittadini. Quindi, se anche i “licenziati” protestassero, non otterrebbero nulla, se non di essere associati a dei criminali. Non per niente una della convinzioni più radicate di questi ultimi anni è: “manifestare non serve a niente”.

ENJOY THE SILENCE - In questo senso la situazione è disperante, ovvero è difficile scorgere una via d’uscita da questo tunnel fatto di mille specchi che trasformano la balena in un pesce rosso. Dobbiamo però chiederci cosa potrebbe comportare tanto “reprimere” all’interno della società stessa. La crisi c’è e il malessere si fa sempre più diffuso, ma gli manca la voce e, quelle poche voci che si alzano vengono subito messe a tacere… Ma per quanto tempo si può vivere in silenzio?

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